Salute per tutti o solo per chi se la può permettere?

Riceviamo e pubblichiamo un testo distribuito nei mesi scorsi, con  riflessioni a partire da quanto accaduto in Via Del Capitel nel novembre scorso.


SALUTE PER TUTTI E TUTTE O SOLO PER CHI SE LA PUÒ PERMETTERE?

Cosa è successo al Distretto Sanitario di via del Capitel?
Il pensionamento di alcuni medici di base ha lasciato migliaia di persone senza questo servizio. Disagi alla modulistica online hanno fatto sì che il 3 novembre si trovassero in coda un centinaio di persone, convocate per prendere l’appuntamento per l’assegnazione di un nuovo medico di base. Di fronte all’ esasperazione delle persone in fila, la reazione della direzione del Distretto U.L.S.S.9 (unità locale socio sanitaria) è stata quella di chiamare i carabinieri.

Come siamo arrivati a questo punto?
Questo  episodio è il prodotto di processi in atto da tempo. Il fatto che ogni medico di base possa avere fino a 1500 assistiti, tanti da non potersi ricordare nemmeno il nome di ognuno, fa sì che venga compromessa la loro funzione di medicina di prevenzione e del territorio, cioè vicina ai pazienti e al loro vissuto. Di conseguenza il pensionamento o la cessazione di un contratto a termine di un medico comporta migliaia di persone che devono procedere alle pratiche burocratiche per il cambio medico. Scene come quelle di via Del Capitel sono destinate a riproporsi, dato che c’è un’autentica emorragia di medici di base, a cui magari non vengono neanche rinnovati i contratti a tempo determinato, ma invece viene chiesto di farsi carico di eseguire i tamponi nei propri ambulatori – senza tenere in conto se possano farlo in sicurezza o meno. Lo smantellamento della medicina di base è legato ai processi di aziendalizzazione e privatizzazione della sanità, che sempre più risponde a una logica di bilancio: si investe nelle specializzazioni più remunerative e disinveste in quelle che rendono meno. Processi iniziati negli anni Novanta (1) , quando l’amministrazione veneta guidata da Lega Nord e PDL ha accumulato un buco nei conti della sanità di 1.350 milioni di euro, un debito chei cittadini stanno ancora pagando con un’ipoteca di 40 milioni di euro all’anno (2). Quando nel 2012 veniva approvato il nuovo PianoSocio – Sanitario regionale, c’era già chi evidenziava “il rischio di accentramento nell’ospedale principale (hub) e di svuotamento della rete ospedaliera territoriale (spoke); anche la rete di emergenza/urgenza non è chiaramente definita” (2). La Legge Regionale n.23 del 29 giugno 2012 segna, infatti, l’inizio di un lungo percorso di accentramento ospedaliero e il depotenziamento della rete territoriale. Nella Bassa veronese da 4 ospedali si passa ad 1. Il”Matersalutis” di Legnago è l’unico ad essere predisposto per pazienti in fase acuta, il “San Biagio” di Bovolone diventa” nodo di rete monospecialistico riabilitativo “mentre Zevio e Isola della Scala si trasformano in Centri Sanitari Polifunzionali. La razionalizzazione provoca la perdita di 1.200 posti letto. A ciò si aggiungono anche operazioni di edilizia milionarie, con l’intervento economico privato; a Verona, dove dal 2008 esiste l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, l’ospedale di Borgo Roma è stato depotenziato per farne un polo universitario, a favore dell’ampliamento di quello di Borgo Trento col Polo Confortini, finanziato in parte da privati (che riscuotono un canone annuale e hanno potuto aprire negozi all’interno).

“Razionalizzazione” della sanità: chi ci rimette?
Questa”razionalizzazione”consente risparmi all’azienda sanitaria, ma rende più complicato l’accesso alle cure per parte della popolazione. Concretamente significa: liste di attesa sempre più lunghe, dimissioni precoci dai reparti ,viaggi sempre più lunghi per accedere alle prestazioni, riduzione del personale medico e ospedaliero, appalti e sub-appalti di ogni tipo, contratti sempre più precari fino ai contratti a gettone per i medici del pronto soccorso.
Al depotenziamento del sistema sanitario territoriale corrisponde un potenziamento dei rapporti con le strutture private, tanto che, in linea con il Piano emergenziale ospedaliero di preparazione e risposta ad eventi epidemici (3), la Regione, lo scorso 3 novembre, ha deliberato un incremento tariffario per gli erogatori ospedalieri privati accreditati (4) . Attualmente la popolazione del Veneto è la terza in Italia per spesa medica di tasca propria (5).

Come reagisce il Servizio Socio Sanitario veneto alla pandemia?
L’emergenza epidemiologica ha evidenziato in un sol colpo tutte le conseguenze delle politiche di aziendalizzazione del sistema sanitario, lasciando senza assistenza chi necessita di cure. L’individuazione di Ospedali dedicati ai pazienti COVID ha provocato la dismissione e/o malfunzionamento di servizi primari, come il Pronto Soccorso a Legnago, dove i pazienti sono costretti a stazionare nelle ambulanze in quanto il Reparto di Osservazione Breve Intensiva è stato trasformato in Reparto COVID, mentre a Bovolone il servizio è stato sospeso per l’emergenza. A Villafranca è stato chiuso il punto nascite e alle lavoratrici è stato proposto di lavorare presso la clinica privata convenzionata di Peschiera del Garda. Inoltre, in un momento delicato come questo, dove non si dovrebbero sovraccaricare i pronti soccorsi, ci si ritrova con le guardie mediche sempre piú depotenziate.

E il personale ospedaliero?
Dato che gli ospedali vengono concepiti come aziende, gli operatori hanno il problema comune a ogni lavoratore: l’azienda cerca di scaricare su di loro i costi per aumentare i propri ricavi.
Altro che eroi, il personale ospedaliero viene trattato come carne da macello, e la “guerra di trincea” alla pandemia si traduce in una disciplina da caserma per cui i lavoratori della sanità non possono parlare di quanto fanno le direzioni, sotto la minaccia di sanzioni e provvedimenti disciplinari.

Cosa scegliamo: il profitto di pochi o la salute di tutti?
In questi mesi ci si è resi conto L’arrivo del Covid-19 ci ha fatto capire ancor di più quanto salute e cure mediche siano importanti. Generalmente cura e salute vengono intese come un processo medico attraverso cui un malato viene guarito. Si dimentica però che la salute non è solo correlata ad un discorso medico, ma anche e soprattutto ad un vivere quotidiano sereno e sicuro. Avere, per esempio, un tetto sopra alla testa che ci protegge e allontana il freddo, ci fa evitare diverse malattie. Eppure anche una cosa così semplice al giorno d’oggi non sempre è garantita, come conseguentemente non lo è la salute. La logica del profitto va contro la salute collettiva, questa pandemia e la sua relativa gestione statale lo sta dimostrando. Lo si è visto con la strage nelle RSA come Villa Bartolomea, dovuta al fatto che centinaia di anziani siano messi in enormi strutture per abbatterne i costi di gestione.Lo si è visto con la decisione di aziende, prefetture e governo di tenere aperte la maggior parte delle imprese, creando migliaia di focolai di contagio tra i dipendenti.Il governatore della Liguria ha avuto almeno l’onestà di dichiarare quello che gli altri politici pensano ma non dicono: che chi non serve allo “sforzo produttivo” per loro può anche crepare.
Per tutti questi motivi meritano sostegno sia i tentativi delle e dei pazienti di autorganizzarsi per avere accesso alle cure mediche, sia i tentativi dei lavoratori e delle lavoratrici della sanità di poterle garantire a tutte e tutti, senza essere a loro volta sfruttati e sacrificati.

PAZIENTI IMPAZIENTI

Verona, novembre 2020

(1) D.Lgs. n. 502 del 30/12/1992 che segna il passaggio dalle Unità Sanitarie Locali all’Azienda Sanitaria Locale e applicato localmente nel 1996 con il primo Piano Socio Sanitario dellaRegione Veneto.
(2) Relazione di minoranza del Consiglio Regionale allegata alla L.R. (3 )D.L. n. 34 del 19 maggio 2020. (4) Deliberazione della Giunta Regionale n. 1421 del 21 ottobre2020. (5 )Il Pungolo Rosso https://pungolorosso.wordpress.com/2020/04/20/su-zaiaco-e-il-cosiddetto-modello-veneto/.

 

Carabinieri intervengono al distretto sanitario di Via del Capitel.
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