8 marzo 2020-8 marzo 2021: a un anno di distanza dalle rivolte e dalla strage nelle carceri

Riceviamo e pubblichiamo il testo di un volantino distribuito l’8 marzo al presidio tenutosi in Piazza Brà per lo “sciopero globale femminista e transfemminista”. Sempre dal volantino è ripresa la tabella in fondo coi dati sulla popolazione incarcerata.

8 MARZO 2020-8 MARZO 2021:A UN ANNO DI DISTANZA DALLE RIVOLTE E DALLA STRAGE NELLE CARCERI

Diamo per scontate le prigioni, ma spesso abbiamo paura di affrontare le realtà che producono. Dopotutto, nessuno vuole finire in galera.Siccome sarebbe troppo penoso accettare l’eventualità che chiunque, compresi noi stessi, possa diventare un prigioniero, tendiamo a considerare il carcere come qualcosa di avulso dalla nostra vita. […]Perciò il carcere funziona ideologicamente come un luogo astratto in cui vengono presi in consegna gli individui indesiderabili, sollevandoci dalla responsabilità di riflettere sulle reali problematiche che affliggono le comunità da cui i detenuti provengono in numeri così spropositati.È questa la funzione ideologica del carcere: ci solleva dalla responsabilità di affrontare seriamente i problemi della nostra società, in particolare quelli prodotti dal razzismo e, in misura crescente,dal capitalismo globale.Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale. (Angela Davis)

È passato un anno dalle rivolte nelle carceri italiane e dalla strage di Stato che ne è seguita. Le rivolte sono state soffocate nel sangue.Una delle carceri che ha visto maggiori violenze da parte delle forze dell’ordine è la casa circondariale Sant’Anna di Modena (ma episodi simili sono avvenuti anche nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere, Bologna e Rieti). Terminata la rivolta molti detenuti vengono trasferiti in altre strutture. Quattro di loro ufficialmente sarebbero morti durante il trasferimento, uno dei quali prima di arrivare al carcere veronese di Montorio.

Dopo la mattanza c’è stata una vera e propria distorsione della realtà dei fatti.Autorità e media, a partire dal ministro della Giustizia Bonafede, hanno descritto rivolte e proteste come violenze frutto di una regia esterna(di volta in volta “La Mafia”, “gli anarchici”) e hanno subito sentenziato che tuttii morti sono dovuti a “overdose”.

Le cose non sono andate così. Le ragioni di quanto successo sono tutte all’interno della normalità carceraria,fatta di psicofarmaci, pestaggi, sovraffollamento, assistenza sanitaria inadeguata,suicidi… La sospensione dei colloqui sommata alla consapevolezza di essere particolarmente esposti al contagio, in strutture sovraffollate e con una assistenza sanitaria inadeguata, ha fatto sì che la goccia facesse traboccare il vaso. Fa comodo parlare di regia esterna perché così non si ammette che le recluse e i reclusi possano prendere decisioni di testa propria e si evita di dare risposte alle legittime richieste.

Rispetto a quanto successo dopo le rivolte e ai morti “per overdose”, cinque detenuti hanno coraggiosamente scelto di raccontarlo in un esposto.Si parla di «detenuti in palese stato di alterazione psicofisica dovuta ad un presumibile abuso di farmaci, a colpi di manganellate al volto e al corpo, morti successivamente a causa delle lesioni e dei traumi subiti, ma le cui morti sono state attribuite dai mezzi di informazione all’abuso di metadone».

Queste e altre testimonianze parlano di spari da parte delle guardie, di detenuti ammazzati affinché fossero da esempio, di pestaggi di massa, di rappresaglie dei secondini.
A un anno di distanza la situazione nelle carceri rimane drammatica, dato che i governi succedutesi nel frattempo hanno rifiutato di prendere in considerazione le richieste dei detenuti (indulto, amnistia, messa ai domiciliari…).I colloqui sono tuttora bloccati e neppure quelli concessi attraverso internet rendono più facile la situazione per i/le detenuti/e e i loro famigliari. E c’è un numero altissimo di sucidii: più di sessanta dal 2020 ad oggi. L’ultimo nel carcere di Montorio è avvenuto a novembre ed è stato quello di Chaka Ouattara, arrestato come presunto partecipante alla rivolta nel centro profughi di Dosson (Treviso), nata in seguito a un focolaio di covid.

A Trieste le detenute della sezione femminile hanno intrapreso delle proteste rumorose (battiture delle sbarre) diffondendo alcune richieste, tra cui: accesso ai tamponi anziché la vaccinazione forzata, domiciliari per le persone con gravi patologie e arrivate a fine pena, riabilitazione presso il centro antiviolenza di Trieste.

Mentre le prigioni bruciavano, in milioni sperimentavamo dei domiciliari di massa,che avevano ben poco a che fare con una preoccupazione per la salute collettiva (come possiamo crederlo, dopo la scelta dettata da Confindustria di tenere aperti iluoghi di lavoro nonostante moltiplicassero i contagi?), ma riguardavano la tenuta del sistema: niente gente in strada, niente critiche né proteste.

“La normalità era il problema” ed oggi che la normalità pre-covid la ricordiamo appena,ribadiamo che non vogliamo tornare a quella normalità, né riconoscere nelle attuali restrizioni la nuova normalità.
L’epidemia ha messo in luce le grandi contraddizioni di questa società capitalista,possiamo continuare a ignorarle o usarle per sdradicare le radici di una società che non riconosciamo salutare.

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