Riceviamo e pubblichiamo un testo distribuito alla manifestazione del 22 marzo in Piazza Brà.
GENERAZIONE PIGRA
Nel bel mezzo di una delle situazioni di crisi peggiore della storia contemporanea sentiamo ancora ripetere questa frase costantemente e, come piccole fiamme in attesa della miccia, ci tenevamo a condividere questa riflessione.
Questa frase viene spesso riferita a quei giovani che si trovano a dover “progettare il proprio futuro”, di cui si sottolinea questo aspetto svogliato e menefreghista per indicare una generazione che si è ritrovata a dover pagare il conto di tutti gli errori del passato.
La scuola è stata, con il supporto degli ambienti familiari, la fabbrica, la caserma e la prigione, il passaggio ineluttabile con cui la nostra società capitalista piega a proprio vantaggio le persone; sotto l’apparente modernità, numerosi arcaismi continuano a scandire la vita di studentesse e studenti, e lo scopo della scuola diviene rendere l’umano redditizio.
Tutto ciò ignorando la realtà in cui siamo stati catapultati che, oltre a terribili lacune in ambiti educativi, e in strutture scolastiche che diventano sempre più aziende e sempre meno luoghi sicuri, rendono noi sempre più merce e sempre meno individui.
Quelle quattro mura diventano uno spazio in cui veniamo costretti, colpevolizzati, giudicati, puniti e onorati, basandosi su un sistema di giudizio che riduce sempre più lo studente ad una forma impersonale identificata attraverso dei numeri. Lo studente viene glorificato per la sua capacità di memorizzare informazioni che spesso preferiscono sottolineare la gloria del nostro paese, minimizzando le colpe, riducendo terribili crimini come la colonizzazione, lo sfruttamento e la repressione in piccoli (se non inesistenti) paragrafi.
I giovani subiscono queste frustrazioni giornaliere per poi essere criminalizzati dagli sfoghi conseguenti a una città fredda, vuota e carente di spazi sociali; questo, durante la pandemia, ha portato i giovani a trovarsi all’aperto, riscoprendo i parchi, cosa ce alle autorità non è andato troppo a genio visto che è esplosa una grande retorica che vede i giovani come untori e, con questa scusa, ci siamo trovati vittime di retate praticamente giornaliere sia nelle scuole, che nei luoghi di aggregazione. Tutta questa propaganda di controllo contro i giovani sui giornali è tradotta come “sicurezza pubblica”, visto che apparentemente siamo baby gang pericolose, i ragazzi sono drogati, violenti e untori.
La noia genera violenza, la tristezza e la monotonia degli edifici incita al vandalismo. Fin dall’inizio della nostra formazione educativa siamo programmati al mondo del lavoro, ad una carriera, ed è quindi inconcepibile la prospettiva di un futuro non rilegato in una monotonia lavorativa; non è permesso desiderare di più dalla propria vita che due settimane di ferie in un anno di sfruttamento. Cervelli manipolati dall’idea di lavoro come fonte di orgoglio e luogo in cui riporre tutte lo nostre energie, glorificando l’illusione di carriere conseguenti esculsivamente al duro lavoro del singolo (proficue grazie all’individualismo produttivo), ignorando il privilegio che domina il nostro paese.
Noi non vogliamo una scuola in cui si impara a sopravvivere in questa società al costo della nostra individualità, ma una scuola basata sulla creatività, non sul lavoro sull’autenticità, non sui meccanismi di rimozione e di sfogo.
L’educazione deve avere come scopo primario l’indipendenza e lo sviluppo di un’opinione personale, la creazione di sé e l’autentica solidarietà. L’apprendimento sta adottando sempre più metodi repressivi, in cui prevale l’idea che per istruirsi bisogna fare sacrifici, anche al costo di perdere le motivazioni per cui si sta studiando.
Ricordandoci sempre che non siamo lì per divertici.
Come possiamo pretendere un vero cambiamento sociale se non partiamo dalle strutture scolastiche?
Come possiamo pretendere che i giovani siano il futuro quando, fin da bambini, viene a loro intasato il cervello di informazioni accuratamente selezionate per fare in modo che essi crescano con le stesse opinioni e valori dei “grandi uomini” che si leggono nei libri di scuola, gli stessi che ci hanno portati alla situazione drammatica attuale?
Vogliamo tornare a scuola? Sì, ma per cambiarla, per garantire un ambiente sicuro, basato sul confronto, il dibattito e le interazioni sociali.