Comunicare in questi giorni infiniti di emergenza Coronavirus è difficile, quasi impossibile. Però proprio in questo momento c’è bisogno di discutere, di ragionare con lucidità, di trovare modi per uscire assieme da questa situazione, in cui il primo contagio a dilagare è quello della paura e dell’egoismo.
Troppe persone si stanno chiudendo prima ancora che nelle mura di casa nella convinzione che chiunque ne sia al di fuori rappresenti una minaccia e non meriti alcuna solidarietà.
Intanto la logica dell’emergenza che tutto giustifica e tutto consente ha portato a un’innegabile svolta autoritaria, a uno stato d’eccezione e a uno Stato di polizia in cui tutto sembra possibile: dal tracciamento dei dati informatici all’impiego dei droni per sorvegliarci, dallo schieramento dei militari alle denunce di massa. “Questa limitazione della libertà è necessaria per la salute di tutti”, dicono.
Ma ancora adesso la maggior parte delle attività produttive viene tenuta aperta nonostante sia chiaro che proprio i luoghi di lavoro sono i potenziali focolai del contagio.
Ci hanno dovuto pensare i lavoratori a tutelare la propria salute con scioperi, osteggiati dal governo, da Confindustria e pure dai sindacati confederali.
Dai piani alti dicono “siamo tutti sulla stessa barca”.
Conviene allora chiederci quale sia stata la rotta che ci ha portato in questa situazione, come le evidenti responsabilità di un’intera classe politica nello smantellamento della sanità pubblica.
E conviene ricordarci che come nei peggiori film al cinema quando la nave affonda a salire sulle scialuppe di salvataggio sono solamente quelli che hanno pagato il biglietto di prima classe.
Solo attraverso una zattera di pensiero critico potremmo restare a galla, affrontare la tempesta e andare verso migliori approdi.