Le nostre vite contro i loro profitti

La passeggiata al parco è vietata, mentre lavorare esponendosi al virus è praticamente obbligatorio.
Questa la logica delle misure adottate dal governo. Forse perché in fabbrica non ci si ammala, mentre al parco sì?
I fatti dicono esattamente il contrario: sono proprio i luoghi di lavoro i principali punti di trasmissione del contagio, dato che centinaia di persone vi lavorano a distanza ravvicinata e arrivano utilizzando mezzi pubblici affollati.
Innumerevoli i racconti di stabilimenti in cui ai lavoratori vengono date mascherine di tessuto non tessuto del tutto inutili.
A Roma un operatore di call-center è morto di Coronavirus nella notte tra il 22 e il 23 marzo: l’azienda aveva dato “la possibilità” di lavorare da casa, ma chi non ha una connessione internet veloce è obbligato a recarsi in ufficio.
Da questa constatazione hanno preso il via scioperi spontanei, rilanciati da alcune sigle sindacali di base. La protesta è andata allargandosi, specialmente nel settore logistico, più esposto a contagi, avendo a che fare con persone e merci che si spostano per tutta la penisola.
A questo punto il governo ha dovuto concedere qualcosa. La sera di lunedì 23 marzo un decreto ha messo per iscritto la lista di quali attività economiche potevano chiudere e quali no. Ma fra le attività economiche “strategiche” ne sono state inserite talmente tante da rendere il provvedimento una presa in giro e da rendere necessari ulteriori scioperi che non sono tardati ad arrivare. Già nella notte tra lunedì e martedì, per ammissione degli stessi quotidiani nazionali, sono partiti scioperi in numerosi stabilimenti di diversi settori industriali: dal metalmeccanico al siderurgico, passando per la produzione di plastica e gomma.
Il 25 marzo, lo stesso giorno in cui Cgil, Cisl e Uil hanno approvato una nuova lista proposta dal governo ampia e vaga quanto la precedente, c’è stato uno sciopero nazionale di lavoratori, con una protesta simbolica di centinaia di operatori sanitari, il cui appello è sostanzialmente stato il seguente: noi non possiamo scioperare ma voi potete farlo per noi e per evitare nuovi contagi.
Astenersi dal lavoro in questo momento è un modo chiaro di tutelare la propria salute e quella collettiva, oltre che esprimere il rifiuto per uno sfruttamento che prosegue nell’emergenza come nella “normalità”.

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